A partire dal fondo di recupero europeo, una riflessione su quanto (poco) contino i giovani e i giovanissimi per la politica e l’economia italiana
Di Anita Boscolo
Il Recovery fund, fondo di recupero, prevede 750 miliardi di fondi stanziati dall’Unione Europea tra cui 196 miliardi destinati all’Italia che ha stilato una lista di quelle che sarebbero le priorità sulle quali investire: dai 46 miliardi per la digitalizzazione e l’innovazione ai 9 miliardi destinati alla salute.
Numeri importanti per ragioni importanti che però trascurano quello che è il futuro per i giovani: solo l’1.7 % dei fondi è destinato a noi, che però ci ritroveremo con un debito da ripagare entro il 2058.
Se la Francia e la Spagna si stanno impegnando a spendere per i giovani, con una percentuale, rispettivamente, dell'11,7 e 5.7 %, l’Italia, nonostante già le pessime condizioni di occupazione dei giovani in Europa e il fatto che siamo anche primi per NEET (non occupati, in istruzione o formazione), è quella che spenderà di meno.
Innumerevoli necessità e programmi che però non guardano al futuro delle nuove generazioni e che non permettono investimenti concreti: bisognerebbe facilitare il collegamento tra università e lavoro attraverso percorsi d’inserimento finanziati con risorse pubbliche, andrebbero finanziate iniziative territoriali sulle politiche giovanili o incentivate le iniziative delle biblioteche, di campi o di luoghi di aggregazione.
Si potrebbero fare tante cose e l’unica che chiediamo è una maggiore attenzione per chi spera in futuro concreto.
Futuro che però al momento ci creiamo da soli organizzando proteste e cercando di dare voce a quello che tutti pensano: Milano, Roma e Torino sono quelle che si sono impegnate di più per cercare di trovare una soluzione alla DAD che ormai è diventata inefficace. Persino il ministro dell’Istruzione Azzolina lo definisce un blackout della socialità con studenti disorientati e arrabbiati per la dispersione della situazione scolastica.
Situazione che però si è venuta a creare quando si è pensato che l’unico modo per risolvere tutto fosse chiudere le scuole: si hanno avuto mesi per provvedere ai mezzi pubblici per chi deve andare a scuola, al distanziamento nelle aule, alla sicurezza di personale e alunni e nessuno ha trovato una soluzione che non prevedesse di lasciarci chiusi in casa con nessuna prospettiva sul futuro.
A partire dall’emergenza sanitaria, la scuola è stata costretta a sospendere l'insegnamento in presenza, è stata costretta ad improvvisare, ed è finita per prestare poca attenzione alla partecipazione sociale degli studenti, all'impatto psicologico e a come realmente questa situazione ci abbia sconvolto.
C’è anche però da aggiungere che la DAD ha fatto emergere problemi che si avevano già in presenza: ci viene riempita la testa di concetti e nozioni che però non erano stimolanti prima e che di certo non saranno stimolanti ora con la DAD che è solo una scuola di emergenza.
Dobbiamo aiutare a ricostruire la scuola, inserirvi nuove energie e utilizzare tutte le armi possibili per migliorarla secondo le effettive esigenze dei giovani.
Bisogna ristabilire le priorità e garantire concretezza a noi che siamo stanchi di dover e poter solo sperare.
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