top of page
Immagine del redattoreErasmondo

Erasmondo dal divano: la quotidianità ai tempi del Coronavirus

Quello che stiamo vivendo non è un’esercitazione, né tantomeno un esperimento sociale o un grande scherzo; o meglio, vorremmo che lo fosse. Ciò che stiamo affrontando è veramente qualcosa di serio, e c’è ancora gente che non lo ha capito.



 

Immaginare com’era la nostra vita due/tre settimane fa è diventato un’apologia al mondo libero dai controlli e dalla rigidità dei decreti, una sorta di mondo romantico a sé stante in cui tutto era permesso: l’abbraccio all’amico o al parente che non vedevi da tempo, una carezza ma anche una semplicissima stretta di mano al lavoro, un gesto di per sé così futile che abbiamo dovuto abbandonare e che, immediatamente, provoca nelle nostre vite un isolamento algido che sembra non avere fine, e che ti lascia un po’ l’amaro in bocca. Perché avessimo saputo che sarebbe stata l’ultima volta per vedere un nostro parente costretto a stare in una casa di riposo, forse avremmo dato più peso a quei baci, a quegli abbracci che gli abbiamo liquidato con così poca importanza; forse saremmo andati a trovare quegli zii che nonostante abitino a pochi chilometri da noi non abbiamo mai avuto tempo di vedere; forse il caro fidanzato o fidanzata, che tanto diciamo di amare, lo avremmo stretto a noi un po’ di più, ancora per un po’ di tempo. Ma ora non c’è più nulla da fare, il dado è tratto.

E ci ritroviamo così, rinchiusi nelle nostre prigioni dorate. Col senno di poi ci sentiamo fieri di questa situazione: in fondo stiamo facendo “del bene alla nazione” stando semplicemente seduti sul divano, non è patriottico? Chi meglio di noi, il paese pigro per eccellenza, poteva essere più d’accordo su questa scelta, io sto a casa! Certo, non sto parlando di tutto il personale sanitario, che invece lavora e si dà un gran da fare, coloro che veramente stanno salvando il Paese. Ciò che abbiamo sempre desiderato lo abbiamo ottenuto: rimanere nelle nostre abitazioni a fare niente. Eppure ancora non è abbastanza, e ora vogliamo uscire, ci sentiamo stretta questa costrizione a casa e ci fa soffrire, mette a repentaglio la nostra salute psicologica da esseri sociali quali siamo, che cercano rapporti e relazioni con gli altri.

Intanto, la situazione si è capovolta: se in Italia fino a poche settimane fa si allestivano cacce alle streghe contro i poveri cinesi, questa volta siamo noi gli zimbelli d’Europa, mentre gli asiatici sono i primi a porre l’altra guancia e a darci una mano proprio nel momento del bisogno.

Questo dovrebbe farci riflettere sui nostri comportamenti: di chi ci si può fidare veramente?

Forse abbiamo sempre vissuto in un “opportunismo europeo” e ce ne siamo accorti solo ora che non abbiamo il coltello dalla parte del manico? Lasciamo ai posteri l’ardua sentenza, alla fine di tutto questo.

Sì perché tutto questo finirà, in un modo o nell’altro. Finalmente riapriranno le scuole, e potremo sfiorarci, abbracciarci,andare insieme nei bar, a fare l'aperitivo tanto ambito, accalcarci di nuovo nei centri commerciali, nei musei, alle mostre.

Ciò che faremo, però, non avrà più la stessa importanza: forse adesso andremo a trovare ogni tanto la nonna o il nonno che ora ci mancano tanto; andremo a stringere la mano per fare la pace a Messa, e non ci fermeremo più; e forse la nostra dolce metà assumerà l’importanza che merita nel nostro cuore e la stringeremo fortissimo, perché mai come adesso abbiamo capito quanto poco tempo abbiamo per passarlo insieme a loro.

Se vi state chiedendo che cosa fare durante la quarantena, pensate a tutto questo.

Riflettete, e poi agite di conseguenza.


 

Erika Bruno

95 visualizzazioni0 commenti

Comments


Commenting has been turned off.
bottom of page